La pesca, in tutte le sue forme, implica un fattore X con contorni sfumati e mutevoli che identifica con molta approssimazione questa o quella preda. Nel senso che nonostante si possa ipotizzare quale pesce abbocchi all’amo, poi, di fatto, la sorpresa è sempre lì, a sfatare le nostre credenze e aspettative. Anche la pesca subacquea non sfugge a questa legge. Quando ti immergi infatti non sai mai cosa troverai sul fondo, non sai mai quale sarà il tuo carniere a fine giornata. D’altra parte, è anche vero che grazie all’elettronica, uno strumento di qualità, quando peschi dalla barca, qualche volta, ben interpretando le immagini del display, può darti indicazioni abbastanza precise, soprattutto se le quote operative sono modeste. Ciò nonostante, anche se personalmente difficilmente sbaglio la lettura della tocca e del combattimento, finché non vedo il pesce non posso dire a quale specie appartenga il pinnuto.
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Spesso inizia così! Una giornata da riempire, qualche amico e un gommone a disposizione. E spesso finisce che il divertimento è anche il principio di un’attività coinvolgente, appassionante, infine una vera e propria malattia: il bolentino.
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Un aspetto che ha sempre caratterizzato il bolentino profondo è il “peso” dell’attrezzatura. Tutto giustificato, naturalmente, visto che tra le prede più insidiate c’è la cernia e di tanto in tanto capitano altri bestioni che spesso, purtroppo, declinano l’invito a salire in superficie per accomodarsi sul pagliolo,
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Sempre più giù! Le moderne tecniche di pesca a bolentino, unite ad un utilizzo sempre più efficace dell’elettronica di bordo, hanno portato ad aumentare la profondità alla quale si calano le esche. E più si pesca in profondità, più lungo è il tempo che impiega l’esca a raggiungere
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