Calamari di Notte
Con l’arrivo del freddo la presenza dei cefalopodi sotto costa s’intensifica, tanto che gran parte dei pescatori sportivi, sia da terra che dalla barca, si concentrano nella pesca ai polpi, seppie e calamari. In verità, rispetto ai primi due molluschi, la cui stagione di pesca è limitata ai mesi più freddi, il calendario del calamaro parte da settembre e arriva fino a maggio e anche giugno. In questi ultimi tempi la moda della pesca in verticale ha spopolato e il tataki è diventata la tecnica di pesca ai calamari più praticata dalla barca, mentre l’eging è esploso con virulenza tra le file dei terrafermisti. Tra le tante declinazioni tecniche, relative a ambienti, orari e esche, ce n’è una che risulta però più redditizia: la traina notturna. In particolare, adottando la tecnica suggerita in queste pagine da Sandro Onofaro, a finire nel guadino sono gli esemplari più grossi. La ragione del successo di questa tecnica è da cercare su due fronti. Il primo, basico, è quello alimentare. Il calamaro ha infatti carni di una consistenza gradevole e un sapore irresistibile, tanto che fritto riscuote consensi a 360 gradi, ma anche arrosto, ripieno, a insalata... Il secondo invece insiste sulla pesca, visto che il Loligo vulgaris, risulta, per la traina costiera, l’esca preferita per la cattura di dentici e ricciole, principalmente.
Dalle origini
In questo periodo, i calamari si avvicinano alla costa all’imbrunire e si trattengono fino all’alba o poco più. Così è da sempre, almeno da quando i vecchi pescatori ponzesi pescavano a remi con un ramoscello di alloro magari arricchito con sapori suini. Il povero cefalopode, non rimaneva agganciato a un amo, semplicemente si avvinghiava all’esca che nuotava a un nodo circa, per finire presto su un guadino o direttamente a pagliolo. Poi la tecnologia napoletana scopre la totanara, l’archetipo di quella attuale, privata del piombino, e trainata con la lenza a mano ma spinti da un motore. Giunti ai tempi nostri, ai nostri albori, le esche più sofisticate erano minnow modificati, senza ancoretta ma dotati di un cestello ad aghi in coda. Venti anni fa, più o meno, le aziende, sensibilizzate dalla base, hanno realizzato gli artificiali specifici ad iniziare da Rapala. Anche io (racconta Sandro), per anni ho pescato con le lenze a mano: 300 grammi di piombo a dritta e 100 a sinistra con due o tre pesciolini per parte. L’evoluzione, successiva nell’ambito della lenza a mano, è la scarpetta affondante, una sorta di barchetta idrodinamica, comunque zavorrata, alla quale si aggancia il finale, e che aggalla con l’abboc- cata, segnalando pertanto al pescatore l’avvenuta cattura. Ciò nonostante, rimaneva il problema delle tante lenze sul pagliolato col rischio di incasinare i fili nella concitazione di una o più abboccate in contemporanea.
Canna e mulinello
Per me la risposta è stata inevitabilmente la canna e il mulinello, dice Sandro. La stessa che uso per il tataki, lunga 240 centimetri al massimo, morbida e corredata di un mulinello taglia 4000, oppure un mini rotante, comunque caricati con un multifibra sottilissimo, 0,08-0,10 al massimo e shock leader di cinque metri in fluorocarbon dello 0,50. A chiudere una girella con moschettone.
“Il calamento, cioè tutta la parte pescante, dalla prima girella con moschettone all’ultimo artificiale risulta lungo 14 metri circa.”.
Il calamento
Al moschettone agganciamo un terminale di 5 metri, in nylon, dello 0,50, con una girella tripla finale, robusta, alla quale fissiamo un bracciolo tra 70 e 1,20 cm, con una girella e moschettone per l’aggancio dell’artificiale. Poi altri 5 metri di trave da 0,50, altra girella tripla con bracciolo di 1-1,2 metri, sempre dello 0,35 e un altro, finale, di 3-4 metri, ancora dello stesso diametro e sempre con girella e moschettone per facilitare l’eventuale rotazione delle esche. Non sembri troppo lo 0,35 per i braccioli perché, la misura, non risulta un limite per il calamaro e in caso di aggancio sulla posidonia, il bracciolo grosso ha più possibilità di resistere alla trazione, con maggiori chance per il recupero dell’artificiale. Lo 0,20 o 0,25, infatti, troppo spesso non è sufficiente. Il calamento, cioè tutta la parte pescante, dalla prima girella con moschettone all’ultimo artificiale risulta lungo 14 metri circa.
Tecnica
Questi tre artificiali vengono affondati con un piombo guardiano lungo un metro e venti, legato alla fine dello shock leader con un attacco a sgancio rapido battente sulla prima girella, oppure inserito nel primo occhiello. In questo modo, sfiorando il fondo grazie alla zavorra, non dovremmo incagliare e tantomeno sporcare l’esca. Con zavorre fino a 300 grammi e grazie alla “inconsistenza” del multifibra posso battere il fondo anche a 20 metri. È un grosso vantaggio, questo, perché all’inizio della serata i calamari stanno più fondi e con il mare mosso uguale, ma salgono col tempo, fino a pochi metri, anche 3-4. I fondali ideali sono misti, sabbia, posidonia e rocce. Così organizzati si apprezza in pieno il gu-sto della traina notturna, per la facilità del cambio esca e l’ordine in pozzetto a prova di piedoni sbadati e vento an-che forte. La canna deve essere morbida e, per assecondare le tocche del calamaro, la frizione va aperta al limite dello slittamento. Diversamente aumentano le possibilità di perdere la preda, soprattutto se grossa, salvo poi stringere appena appena nel recupero. Per calare agevolmente le esche a dritta è bene virare leggermente a sinistra, a destra invece per filarle a sinistra. Nel recupero ci si comporta all’opposto e cioè si vira a dritta (30° circa) per recuperare le esche di destra e a sinistra per salparle a sinistra, tutto senza mai togliere gas. Detto questo, il mio assetto ideale, su tre livelli, cioè tre profondità (naturalmente chi parla e Sandro) è con tre canne. Due, sono armate con tre pesciolini ciascuna ma appesantite, l’una con 200 grammi di piombo e l’altra con 300. La terza canna, un po’ più morbida delle prime due, porta solo due braccioli di 80 e 1,80 cm montati su una girella tripla. Questa canna non è zavorrata e pesca a 7-10 metri a poppa, a galla, nella turbolenza delle eliche. Sandro consiglia la massima attenzione e delicatezza, nel recupero. Arrivati allo shock leader si recupera a mano, senza sganciare il piombo guardiano, ma invece, gettandolo nuovamente in acqua una volta afferrato il terminale con gli artificiali. Questa tecnica funziona bene sottocosta. Oggi pesco in tutta sicurezza da 5 a 25 metri di profondità, a seconda delle giornate, delle lune, della quantità di luce a seconda della profondità e delle marcature. Ovviamente non è una pesca regolare. Magari per un’ora non si pesca nulla e nella mezz’ora successiva si fa mattanza. Tanto, sicuramente dipende dalla luce, dalla rifrazione della luce. Infatti notiamo che in ogni posto, in ogni ora, c’è un artificiale che funziona meglio degli altri. Per questa pesca ci vuole la luna dal 1° quarto fino al 4° calante. Qualche calamaro con la luna si prende sempre. In mancanza dell’astro, gli avamporti e le coste illuminate, sortiscono i migliori risultati. E la luce è sempre protagonista perché i calamari vedono le esche e sono più attivi. La traina si svolge a una velocità di 2-2,5 nodi. Una scuola pugliese consiglia la navigazione a 1,5 nodi, con gli Stimm, a mano, e un terminale di 20-25 metri con due pesciolini, non di più perché altrimenti lo Stimm risale a galla per la trazione. È una tecnica che rispetto alla mia percorre meno spazio, quindi limita le opportunità. Inoltre i pesciolini vibrando di meno non risultano altrettanto catturanti. In ogni caso le esche, artificiali da 9, 11 e 13 centimetri, non devono mai mancare. Lo stesso pesciolino, uguale per colore e misura deve essere almeno triplo, così da avere, al momento giusto, abbastanza esche da calare. Se vi rendete conto che un colore pesca più di un altro, non indugiate e sostituite le esche con quelle che al momento riscuotono i favori del calamaro. La rotta da seguire è soggettiva ma una volta fatte le catture, un ripassaggio al contrario è sempre consigliato, oppure due, oppure tre, oppure…
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