Boccone e Mattariga
Anche questo mese parliamo di un organismo marino invertebrato, il murice, presente nei nostri mercati principalmente come murice “maschio” (Murex o Hexaplex trunculus, Linnaeus 1758) e murice “femminella” (Murex o Haustellum brandaris, Linnaeus 1758) differenti non per il sesso, ma perché appartenenti a 2 specie diverse. Si tratta di molluschi gasteropodi marini, caratterizzati da un corpo protetto da una conchiglia di natura calcarea, leggermente diversa nelle due specie; la “femminella” presenta una protuberanza detta sifone abbastanza lunga e delle spine appuntite sul guscio, mentre il “maschio” presenta un sifone corto e nessuna spina sul guscio. Vivono a stretto contatto col fondo, sia roccioso sia sabbioso-fangoso, sul quale si muovono strisciando su una porzione del corpo detta piede, erroneamente scambiata in antichità per lo stomaco (gaster = stomaco, podos = piede) da cui deriva il nome “gasteropodi”. Raggiungono una dimensione media di 5-7 centimetri in lunghezza.
Si cibano di organismi vivi come mitili, vongole, fasolari e patelle, sul cui guscio provocano un foro attraverso il quale uccidono l’animale. Si nutrono anche di resti di pesci e di crostacei.
Le carni di questo mollusco sono saporite ma coriacee ed apprezzate solo in certe zone del bacino mediterraneo tra cui la Sicilia e la Sardegna, dove vengono pescati con lunghe reti di fondo.
I murici venivano utilizzati in antichità per l’estrazione della porpora, pigmento col quale venivano colorate le stoffe. Dopo averli pescati, questi erano messi in ampie vasche; una volta rotti i gusci essi subivano in processo di macerazione, durante il quale si otteneva il pigmento, poi diluito per ottenere gradazioni dal color porpora al rosso scuro. Le vasche erano poste sempre lontano dai centri abitati a causa del forte odore emesso dai molluschi in decomposizione, avvertibile anche a chilometri di distanza.
Stefano Farci
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