Non più giovanissimo, autodidatta ma profondista e in più compensa in hand free. Eccovi alcune pillole del trascorso di questo pescatore che ha fatto della sua passione una professione.
Ha spento 27 candeline prima di eliminare tutti gli ostacoli che si interponevano tra lui e il mare, tra lui e la pesca subacquea. Alessio Piras, classe 1983, radicato nel sud ovest dell’isola, lascia la sua Sardegna, prima per imbracciare le armi, e poi per trasferirsi in nord Italia, nella California sotto le Alpi. Ma le sirene, affascinanti e bianche d’inverno, non hanno oscurato neanche per un attimo i ricordi di quando, ancora giovane, si tuffava in mare col genitore o il fratello minore per mettere su una zuppa serale. Così, quel mese estivo nella sua terra, ancora in acqua e ancora a pesca, rinverdiva i ricordi e alimentava il desiderio di un prossimo ritorno. Una nostalgia che ogni anno pesava e cresceva, tutte le volte che attraversava il Tirreno. Galeotto anche quel Giorgio Dapiran e altri suoi pari greci, che attraverso i video stimolavano la sua passione venatoria. Nel 2008 il grande passo, un biglietto di solo andata, Bergamo-Cagliari, e il sogno di dedicarsi alla pesca a 360 gradi. Il passato sportivo, nei campi di atletica, dai 13 ai 16 anni e i mai interrotti richiami estivi, conservano il fisico e soprattutto il fiato, così la sua ripresa inizia dai -25 metri.
Come hai ripreso? Beh, per prima cosa ho comprato un gommone, molto piccolo, con chiglia pneumatica, per la pesca in apnea. Così ho potuto pescare tutti i giorni, tempo permettendo.
Adesso sei un profondista? Diciamo che mi ha sempre affascinato il blu scuro e soprattutto sono portato. Pensa che sono autodidatta e compenso in ”hand free”. Fino a tre anni fa pescavo in assetto costante entro i 35 metri di profondità, adesso quasi sempre in assetto variabile, a quote impegnative.
E i 360 gradi? Nel settembre del 2017 ho comprato un peschereccio a Porto Torres. È ormeggiato a Porto Pino ed è armato per la pesca ai polpi, fondamentalmente. A bordo ho 400 nasse e vado a mare ogni 5 giorni. Purtroppo la gestione di questa pesca non è responsabile e in certi periodi andiamo in sofferenza.
Ricordi un pesce di gioventù? Certo, Ero con mio fratello, ex ciclista e semi professionista. Usciamo a pinne, a Cala Domestica, nella Grotta delle spigole. Era estate. Mio fratello scorge una cernia che si muoveva sulle rocce. Probabilmente era in caccia, un po’ in ombra. All’improvviso s’intana e scompare. Riemergiamo per ossigenarci e poi di nuovo in caccia, alla ricerca. Alla fine, in un cunicolo, sui sassi, noto un’immagine familiare. Era un’area indefinita di una cernia. Faticando un po’ scopro un pertugio dal quale si vedeva la testa dell’animale. La situazione era controllata perché a turno risalivamo per prendere aria. Comunque, c’era poco da sbagliare e sparo. Purtroppo, sforzando per il recupero del pesce, si rompe l’aletta dell’arpione e viene a mancare la trazione per estrarre la cernia. Quindi devo allungare il braccio, col viso che grattava sulle rocce, per muovere l’animale ormai inerme, e indirizzarlo verso un’altra uscita dove avrei dovuto ripetere il tiro con un’asta nuova. Pensato e fatto! Era una cernia di 5 chili. La prima di peso dignitoso della mia carriera.
Oggi dove vai a pesca? Oggi pesco ancora nel sud Sardegna, prevalentemente a Sant’Antioco, Carloforte, ma anche a Piscinas e in tutta la Costa verde. Spesso mi spingo a Pula. Esco sempre in gommone, raramente da terra. Sant’Antioco mi piace in modo particolare perché puoi pescare sia basso, che fondo, meglio fondo. Poi è bello l’ambiente, questo granito, roccia con guglie, pietroni ciclopici su sabbia... Inoltre, da non trascurare: i pesci. Ci sono pesci di passo, dentici, insomma tutte le prede. Ho visto mante al banco Pomata, e squali. A Capo Frasca però… un grigio di tre metri in pochissima acqua. Cercavo spigole in tana. Sollevo la testa perché sentivo una presenza e me lo trovo di fronte, ma lui con calma nuota e se ne va.
Un’emozione? Sempre d’estate. Ero in gommone, in navigazione verso l’isola del Toro. Ero con amici e d’un tratto vediamo questo spruzzo d’acqua enorme. Eravamo abbastanza lontani e quando l’abbiamo raggiunto ci siamo resi conto della grandezza, era una balenottera di 10 metri. Bellissima.
Quale tecnica preferisci? Mi considero un polivalente. Mi adatto alle situazioni. Per anni ho pescato al massimo con un 94. Oggi non supero i 90 cm. L’arma ti serve per una maggiore penetrazione. Con le cernie, l’asta ha vita breve e più è lunga e peggio è. Vale la regola una cernia un’asta. Prima usavo solo i monogomma oggi preferisco il doppio elastico. Ho pescato tutti i pesci, me ne manca solo uno: il sarago faraone.
Esperienze agonistiche? Sì, ma non esaltanti. Nel 2014 m’iscrivo all’Air sub, poi, l’anno successivo passo col Sinis di Oristano. Nel 2017 approdo al campionato di prima a Torre San Giovanni, Lecce. La prima giornata non va male, sono sesto. Ma la seconda è cappotto. …esimo. Mi ricordo che in preparazione, alla ricerca di pesce bianco, trovo una rete, a 26 metri, con una tartaruga viva, intrappolata. Una Caretta caretta di 60 centimetri. Il barcaiolo fila l’ancora in verticale, io aggancio la rete e portiamo su la caretta che abbiamo chiaramente smagliato e liberato. L’anno successivo mi ritrovo in seconda categoria a Santa Marinella, nel Lazio: nuovamente …esimo. Tanto è bastato per maturare l’abbandono. Oggi faccio solo qualche promozionale. L’ultima quella in ricordo di Bruno de Silvestri. Però, a dir la verità, una garetta internazionale la farei volentieri.
Una cernia grossa? Sì, una cattura notevole. Era primavera, a Babari (Marina di Arbus). Non girava pesce. Io, testardo, vado a fare il minatore (minuziosa ispezione delle tane) su 25 metri circa. Salgo in gommone per idratarmi con un venticello da scirocco che mi scarroccia e mi porta su fondo da 33 metri. Nello scandaglio il barcaiolo vede un’isoletta di grotto nella sabbia con molta mangianza. Vado a controllare e scendendo vedo una mucca ferma prima di uno spacco. Scendo, in caduta, a foglia morta, come da manuale. Sparo e la fulmino in testa. Segue un recupero semplice dalla superficie e poi via a casa.
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