C'è stata un’alba, per la pescasub, in Sardegna, e subito dopo lui: Alberto Piz- zoccheri, Milano 8 luglio 1946. Al tempo i pescatori subacquei erano poco più che dei pionieri. S’immergevano, è vero, in un mare di pesci, ma poco avevano, oltre la nuda pelle, una cinque punte e uno strato più o meno abbondante di grasso e solo alcuni potevano sacrificare un maglione di lana impermeabilizzato con le buste di plastica fuse sopra col ferro da stiro. Pizzoccheri sbarca in Sardegna ancora in fasce a seguito della famiglia, allora legata all’industria Pirelli, la stessa che negli anni ’50 produsse il Nautilus, storico battellino di gomma, antesignano dei futuri gommoni. E fu il babbo, a lanciare il piccolo natante in Sardegna, in occasione dell’apertura di una filiale del colosso della gomma nell’isola. Allora, ancora bambino, Alberto, biondo e privilegiato, si cimentava con la lenza nella cattura di piccole mormore e pesci di sabbia, a Giorgino,seduto proprio in uno di quei piccoli battelli. Fu in seguito, adolescente, spinto dagli amici, al Lido, a prendere confidenza con l’acqua. Affascinato dai racconti di un dipendente dell’azienda fondata dal padre una volta lasciata la Pirelli, chiese e ottenne in dono, da un incuriosito genitore, una maschera subacquea, poi una muta. Imparò subito a nuotare e con una fiocina artigianale… poveri pesci, sogliole e aragne e polpi, principalmente.
Da lì, purtroppo, feci un grosso sbaglio, abbandonai il fucile a elastico per passare a quello a molla. Una grande stupidaggine che influì sulle mie performance, finché arrivò la Mares con il mitico Sten ad aria compressa.
Step successivo? Andavo al mare occasionalmente, ma dai primi anni ‘60 le mie frequentazioni salate sono diventate sempre più abituali e sono sfociate, nel ’63, a Carloforte, nella mia prima gara di pescasub, addirittura un campionato sardo. Mi ricordo benissimo il podio: vinse Bruno Chiarolini, secondo Guido Treleani, terzo Gianfranco Camoglio. Salvatore Grosso arrivò quarto ed io ultimo, manco un pesce. Allora non era obbligatoria l’affiliazione a una società sportiva e i mezzi erano proprio scarsi. Addirittura gareggiai senza muta, anche se, ai primi di settembre l’acqua era ancora abbastanza calda. Da lì, purtroppo, feci un grosso sbaglio, abbandonai il fucile a elastico per passare a quello a molla. Una grande stupidaggine che influì sulle mie performance, finché arrivò la Mares con il mitico Sten ad aria compressa. Gli anni ’70 furono miei. Vinsi la Coppa Portopino, la mia prima vittoria, con la Polisportiva San Benedetto. Portai al peso due cernie e 20 pesci. In quel periodo facevo coppia con l’indimenticato Salvatore Grosso. Era un po’ più grande di me, molto esperto e generoso. È stato importante nella mia formazione. Furono anni di successi, condivisi con gli atleti di allora e miei avversari, uno su tutti: Sergio Defraia.
Il tuo palmares? Disputai l’ultima gara nel 1989. Sono stato campione sardo 9 volte. Ho partecipato a 10 campionati italiani assoluti e a altrettanti in seconda categoria e per tre volte sono stato convocato in nazionale.
Chi è stato il tuo numero uno? Massimo Scarpati senza dubbio. Tra i sardi, nel ’60, Chiariolini, Treleani e Grosso. Negli anni ‘80 Cottu, in questi anni Dario Maccioni e Cristian Corrias, ma il miglior subacqueo sardo di tutti i tempi per me è stato Bruno De Silvestri.
La tua tecnica di pesca preferita? Mi piace il movimento, la pesca dinamica, direi che razzolo e tana sono le più divertenti.
E il fondo? Allora eroo considerato un profondista, ma le mie quote andavano tra i 20, 25 e fino a i 33 metri. Mi piacciono i carnieri variegati e colorati. La pesca profonda implica pochi spari, discese in punti precisi e come se non bastasse non vedi il fondo.
La tua preda preferita? La cernia, tutta la vita. E’ impegnativa e ottima come pietanza.
Vai ancora a pesca? Molto poco e naturalmente a profondità più modeste.
Come trovi la salute del mare? Se l’indice di valutazione è la quantità di pesci, ti posso assicurare che in tutto il mondo la fauna marina è notevolmente diminuita. E a poco servono i tentativi delle riserve, dei parchi e della aree marine protette, per i quali non ho pregiudizi, ma non condivido nè l’esagerata estensione, come quelli numero- sissimi della Sardegna, nè la fruizione da parte di chiccessia. Un aneddoto? Con Salvatore Grosso, era primavera, a maggio. Usciamo da terra a Capo pecora. Era una giornata fredda con vento e corrente sostenuta. Sono rientrato a terra perché non vedevo un pesce ed ero stanco. Leggevo il giornale, sugli scogli, aspettando Salvatore. A un certo punto scorgo la sua figura che rientrava con qualcosa di luccicante. Era una ricciola di 42 chili, la più grande vista fino ad allora. Un altro episodio che non scorderò successe alla secca di mezzo, al Catalano. Ero con Paolo Nurchis. Malgrado il palloncino di sicurezza il barcaiolo ci ha persi entrambi. Inutili i giri per ritrovarci e così cercò aiuto a terra. Alla fine ci hanno recuperato belli belli al Catalano.
Come vedi il futuro della pescasub? Purtroppo siamo stati presi di mira dall’ignoranza ambientalista e demonizzati. Gli spazi si vanno riducendo sempre più e in diverse regioni l’agonismo di punta è molto osteggiato. Non sono ottimista.
Pesce più grosso? Carangidi e cernie oltre 50 chili. In Sardegna una ricciola di 42 chili, con Lele Massa alla secca del Giudeo. Siamo usciti da Malfatano in gommone. Vedevo una sagoma girare intorno alla guglia a 11 metri, una ricciola. Era metà mattina, m’immergo e al primo sparo l’ho centrata il testa. Ha combattuto strenuamente, ma alla fine ha ceduto.
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