Trovare i pesci è certamente più facile con tanta elettronica a bordo, ma far mangiare i pesci è altra cosa. L'autore ci propone uno standard e alcuni trucchi super collaudati che ci potrebbero tornare molto utili.
La traina col vivo è una delle tecniche di pesca più diffuse tra gli angler della nostra penisola. Si pratica soprattutto nel sottocosta, sui cappelli delle secche e relative cadute, nei mesi estivi fino all’autunno, su batimetriche intorno ai 30-40 metri, alle spese, soprattutto, di dentici, ricciole e cernie. Tale tecnica però, può risultare comunque redditizia anche se viene praticata su spot più profondi, quindi meno frequentati, specialmente nei periodi invernali, a partire dalla fine dell’autunno. Dopo le prime mareggiate, con la rottura e mescolamento del termoclino, presente negli strati superficiali, alcuni pescioni, ad esempio le grosse orate, preferiscono abbandonare il sottocosta e spingersi più al largo in corrispondenza di secche più impegnative, anche oltre i 60 metri. A seconda dello spot (roccioso, fangoso, misto, coralligeno), possiamo insidiare anche grossi dentici (Dentex dentex o Dentex gibbosus) o cernie brune di mole sopra i 10 kg.

Tecnologia - Negli ultimi 30 anni, anche a seguito della diffusione della tecnologia, c’è stata un’importante rivoluzione nella traina col vivo con alcune varianti interessanti. Grazie alla telecamera subacquea molti sportivi hanno modificato l’approccio che io definisco “statico lineare” (impostazione classica della traina col vivo), con variazioni più dinamiche, come lo stop and go, l’irregolarità della velocità di traina, fino alle andature lente a scarroccio alternate con zig zag. Tutto ciò grazie anche al motore elettrico di prua le cui funzioni consentono ormai ogni tipo di movimento e scarroccio controllato, con una precisione impressionante e col grandissimo vantaggio, rispetto al classico motorino ausiliario a scoppio da poppa, che non altera il livello di allerta dei predatori al passaggio dell’imbarcazione e in più, di per sé, non inquina.

Canna e mulinello - In tema di canne, la scelta dipende dalla preda, dalla zavorra e dalla profondità di pesca. In linea generale il giusto compromesso è una canna lunga circa 2 metri, con fusto potente ma sensibile in punta, ancor di più per l’oratona, nota per la mangiata delicata, simile alla fastidiosa tanuta che insidia le nostre esche e spesso le distrugge. Il mulinello può essere sia fisso che rotante, comunque imbobinato con 300 metri di ottimo multifibra PE 2, rotondo, di eccellente fattura per tagliare la colonna d’acqua, specialmente su fondali oltre i 70 metri.
Impianto pescante - L’impianto pescante è quello classico, con pre-terminale di 5-7 metri tra lo 0,55 e lo 0,70 di fluorine, connesso, a monte, al multifibra e a valle al terminale lungo 2 m, max 3, rigorosamente in fluorocarbon, sempre con due ami, uno trainante e uno ferrante. Il diametro del terminale varia in base alla tipologia della preda, in termini di mole e relativo apparato boccale. Infatti per alcuni predatori come i dentici corazzieri ci vuole un filo più grosso, almeno 0,65-0,70 per evitare tagli netti da parte degli affilati canini. Per le orate basta un filo più sottile perché i denti sono meno affilati del dentice. Altra variabile è la tipologia dello spot (roccia o fango) e la relativa profondità. Infatti pescando su fondali rocciosi e profondi alla ricerca ad esempio di serranidi di mole si consigliano diametri più spessi almeno 0,70 mm. La connessione tra pre-terminale e terminale si pratica con un nodo a scelta tra i noti (FG knot, Tony Peña, PR knot, allbright, etc.), realizzando una piccola asola alla quale fissare il piombo guardiano. Eventualmente, per fronteggiare denti estremamente affilati come quelli dei dentici di mole, si può utilizzare anche del cordino da almeno 150 lb per irrobustire gli ultimi 20 cm del terminale.

La zavorra è il classico piombo guardiano collegato alla giunzione tra multifibra e pre-terminale, di peso variabile a seconda della profondità di pesca e della corrente, con un range che varia dai 100 ai 300-350 grammi al massimo, se si pesca su batimetriche fino ai 70 metri, per salire a non oltre i 500 grammi, se si pesca più profondi. Ma è sempre meglio usare la zavorra più leggera possibile, per ridurre al minimo i sospetti del predatore, il quale, nell’attacco, potrebbe avvertire strane resistenze e abbandonare l’esca. Per tale motivo è importante trovare il giusto equilibrio tra peso della zavorra e diametro del multifibra, in funzione della corrente di fondo e della velocità di traina. In alcuni casi, vedi predatori smaliziati che assaggiano l’esca senza aggredirla con determinazione, si può usare il piombo guardiano scorrevole. In questo caso si utilizza una girella che si sposta sul pre-terminale e va in battuta su una pallina morbida salva nodo montata prima della girella. La scelta dell’amo dipende dal tipo di esca, dalla dimensione e dalla bocca del predatore. Alcuni pesci, vedi l’orata, hanno un palato molto duro, addirittura ricoperto da placche ossee, molto difficile da bucare. Pertanto è preferibile un amo beak, con punta a becco d’aquila, affilatissima e molto penetrante, a partire dal 4/0 e con trainante fisso. Nel caso della cernia, considerando che il serranide ingoia la preda dalla testa, senza morsi preventivi o strappi a metà corpo, tipici del dentice, ci si può orientare su altre tipologie di amo e misure più generose. In questo caso, il terminale, comunque a due ami, può essere sia con trainante scorrevole che fisso.

Esche - Le esche principali da utilizzare nel periodo invernale su fondali impegnativi, sono esche vive e voluminose come il calamaro e la seppia. In particolare, su secche isolate attorno a cappelli profondi, il cefalopode ben innescato con due ami del 3/0 e 4/0 beak, può essere la soluzione migliore per insidiare anche qualche bell’esemplare magum di orata.
Strategia - Una volta arrivati sullo spot, con la vasca del vivo sufficientemente affollata, s’inizia la ricerca delle marcature di pesce foraggio e predatori in caccia, per poi calare velocemente le esche. Una volta capito il momento per effettuare la ferrata correttamente, inizia il combattimento con continue testate ripetute da parte della preda che cercherà con tutte le sue forze di recuperare il fondo regalando all’angler dei momenti indimenticabili di pura goduria e adrenalina. Nelle situazioni in cui i pesci risultano diffidenti e guardinghi, restii a sferrare attacchi alle esche, conviene cambiare tecnica e impostare una passata con un approccio più a scarroccio controllato a bassa velocità. Con alcuni particolari predatori come le orate e dentici, in alcune situazioni la presentazione dell’esca naturale e lenta spesso può portare all’attacco dello sparide. Il predatore diffidente e restio all’attacco, può lanciarsi sull’esca quando il complesso pescante perde tensione e quindi l’esca risulta meno vincolata, più libera di scappare lateralmente sotto gli agguati di un grosso predatore. Sebbene la tecnologia e l’elettronica di bordo abbiano aiutato tantissimo l’angler, sarà sempre la bravura, la sensibilità, il fiuto e l’esperienza a fare la differenza. Il buon esito della pescata, a meno di un fortunato evento, arriva dopo una serie di prove in differenti condizioni e periodi dell’anno, testando e mettendo a punto l’organizzazione generale, lo spot, le esche e l’attrezzatura.
Warning - Attualmente, risulta molto semplice e alla portata di molti, una volta individuati i montoni di dentici e orate, ancorarsi sopra con un motore elettrico e fare vere e proprie mattanze di pesci indifesi che aggrediscono anche esche morte perché indeboliti e affamati per il ciclo riproduttivo. Sarebbe bello e giusto, almeno in questi periodi, ridare la libertà all’animale e cambiare spot, il mare vi ringrazierà, ricorderà il vostro rispetto e vi ricambierà sicuramente quando meno ve lo aspettate.
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