A corto raggio
Ogni tanto mi capita di ripensare a come tutto ha avuto inizio, fra me e la pesca intendo, e mi rivedo circa, a dieci anni d’età, sotto il solleone di agosto e con l’acqua ai polpacci mentre insidio mormorette dal bagnasciuga di Platamona. E penso che molti di noi abbiano iniziato così, con la cannetta da due metri, il mulinello che sembrava una matracca (strumento simile alle nacchere, costituito da tre tavolette di legno legate con dello spago e dal suono acuto e persistente), gli ami cristal e il piombo a pera o a palla. E l’esca? Solitamente io usavo le telline che a dispetto di unghie e polpastrelli, raschiavo in pochi centimetri d’acqua, oppure i mitici vermi di Platamona, buscati a forza di sfossare la spiaggia di turno. Le prede erano per lo più mormore da arresto, diciamo di circa 10-15 centimetri, ma non di rado abboccava qualcos’altro, soprattutto tracine, e allora potevano essere strilli e lacrime, perché nove volte su dieci ci beccavamo una brutta puntura! Tutto si svolgeva rigorosamente di giorno, magari in mezzo ai bagnanti, ma devo ammettere di non avere mai colpito nessuno col piombo. Anche perché con l’attrezzatura di cui sopra i lanci che si potevano ottenere erano davvero corti, già una ventina di metri costituiva un ottimo risultato (continua sul giornale).
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